Ero piccolo, poco più che bambino; andavo a scuola con la cartella più grande delle mie spalle e giocavo per strada a pallone sbucciandomi le ginocchia come tutti, ma non capivo molto di calcio. I miei compagni di scuola mi chiedevano “tu di che squadra sei?” Mi prendeva quasi il panico, davvero: a casa mia non si vedevano le partite, solo mio fratello più grande seguiva il Napoli ricordando le gesta di Maradona. Io non avevo deciso, non sapevo cosa tifare in realtà: è vero, nel Sud non si tifavano molto le squadre locali, specialmente da bambini, si tifavano le squadre del Nord, quelle forti: molti il Milan di Weah, ancor di più la Juventus di un giovane Del Piero, Baggio e Vialli, qualcuno il Parma delle meraviglie in Coppa UEFA e, in pochi, l’Inter.
Andai da mio zio che seguiva le partite, aveva persino la “parabola” quasi un lusso a quei tempi. Più che un consiglio gli chiesi proprio quale, secondo lui, dovesse essere la mia squadra, non mi rispose: mi disse resta con me e vediamo una partita insieme. Non ricordo bene contro chi giocasse, sono passati più di 20 anni, ma non potrò mai dimenticare quella maglia, quei colori, quella passione… il nerazzurro era entrato e stampato sul mio cuore, non mi importava che a scuola mi prendessero in giro, “L’Inter? Ma l’Inter non vince mai!”, a me piaceva, la sentivo vicina, che lottava, un po’ pazza, spesso sfortunata, ma alla fine che ci crede sempre, e a volte ce la fa… Vince! Così sono cresciuto amando questi colori, versando lacrime di dolore e di gioia dal ’96 al 2018, senza mai rinunciare alla mia fede, nonostante il Napoli del bel gioco o lo straordinario Benevento in A che han fatto cambiare maglia a molti amici: io ce l’ho cucita addosso, me la potete levare solo strappandomi la pelle.
Il giocatore che preferito è sempre difficile da scegliere, ci sono stati quelli che hanno segnato ogni stagione in modo diverso, da Ronaldo a Milito, però io ho avevo un vero amore per Zamorano e Ivan Cordoba, li ricordo sempre affettuosamente per il loro attaccamento e spirito di sacrificio: il primo è stato la grande speranza prima di Ronaldo, il grande campione che faceva sognare i bambini e che doveva far rinascere la grande Inter; il secondo sarà per sempre il capitano silenzioso, grande uomo fuori e dentro dal campo, mettendo al primo posto solo e sempre il bene della squadra.
La partita che ricordo di più è il ritorno di Champions contro il Barcellona nel 2010. Era il compleanno di mia sorella, potei seguire su video solo il primo tempo, poi dovevamo uscire con tutte le mie cugine per festeggiare i suoi 21 anni. Io ero distrutto, avrei voluto seguire a tutti i costi quella partita: in 10, ingiustamente, e soffrendo contro la squadra dei marziani. Sarebbe stato troppo bello andare in finale dopo tutti quegli anni, doveva essere nostra e dovevo seguire quella partita! Rimasi in silenzio tutta la sera, con le cuffiette a seguire la radiocronaca dalla radio del cellulare del secondo tempo in un risto-pub in centro a Roma (non c’era senza neanche un televisore!!!) Mia sorella nera, le mie cugine non credevano che potessi alienarmi tanto, non dissi una parola tutto il tempo finché non piansi lacrime di liberazione (è finita!!!). Loro erano quasi incredule, solo l’ex fidanzato di una mia cugina, laziale, disse: “lasciatelo stare, non potete capire cosa vuol dire!”. Il resto è storia…